Tecnologia e salute: due parole su “Immuni”, l’app scelta dal governo per la fase 2

E’ di qualche giorno fa la notizia della scelta da parte del governo italiano dell’app che dovrebbe accompagnare la fase 2 di questa emergenza sanitaria.

Vorremmo contribuire al dibattito in corso, portando la nostra, seppur piccola, esperienza sul tema tecnologia e salute.

Iniziamo spiegando brevemente come dovrebbe funzionare “Immuni“, questo il nome dell’app, scelto dall’azienda italiana Bending Spoon e del Centro Medico Santagostino che l’hanno sviluppata.

Premessa:

l’app si basa sull’adesione volontaria dei cittadini e si basa sulla tecnologia bluetooth (più altri sensori) e non dovrebbe prevedere il tracciamento di geolocalizzazione (o meglio, lo prevederebbe come ampliamento, ma il governo pare essersi  fermato alla versione base).

Ma entriamo nel merito e dividiamo il tutto per punti per farvi seguire meglio il flow del suo funzionamento:

1.l’app, una volta scaricata, entra in “contatto” con le persone che si incontreranno durante la quotidianità (a patto che anche loro l’abbiano scaricata);

2.Qualora qualcuno dovesse risultare positivo al Covid19, l’operatore sanitario chiederà al paziente se avesse aderito ad “Immuni”;

3.In caso affermativo l’operatore sanitario, con un’altra app, genererà un codice che darà al paziente;

4.Il paziente dovrà, tramite la sua app, inserire il codice datogli dall’operatore sanitario;

5.Questo codice si collegherà ad un server (sulla proprietà del server ho trovato notizie discordanti, qualcuno dice sia del Ministero…ad ogni modo speriamo non sia quello dell’Inps 😐 );

6.Dal server verra stilata una lista di quei contatti che, e qui drizzate le orecchie, il paziente positivo avrebbe incrociato nei giorni precedenti e che gli siano stati ad 1 metro o meno di distanza per un certo periodo di tempo (non si specifica quanto);

7.Da lì parte una notifica verso quei contatti

Ci fermiamo qui e non proseguiamo il flow perché è sufficiente per farci sollevare qualche dubbio. Non entrando nel merito della questione di privacy, privazione delle libertà o altro (magari ne parlemo più avanti), si vedono essenzialmente questi errori di fondo. E partiamo con un altro elenco (scusate ma sappiamo solo ragionare a tappe) :

1.La prima regola quando si decide di creare una nuova app è quella di rispondere adeguatamente al bisogno richiesto, che in questo caso sarebbe contenere l’epidemia. Siamo sicuri che “Immuni” sia una soluzione adeguata? Come esattamente conterrebbe l’epidemia?

2.L’app si prevede possa funzionare quando indicativamente il 60% della popolazione avrà aderito al progetto. Evidentemente non si è contato il digital divide (per l’ennesima volta direi) che peraltro cresce all’aumentare dell’età, ovvero tra quella fascia di popolazione che è anche la più colpita dal virus. Ma se anche riuscissimo a dotare tutti di smartphone e di quel minimo di competenze per installare l’app (giusto ieri stavo provando a far scaricare a mia madre un’app ma è stato così faticoso che dopo averle fatto individuare l’app store, ho rinunciato!) a quel punto non si potrebbe più dimenticare il telefono a casa, nemmeno per andare a buttare la spazzatura.

3.Terzo punto: perché si costruisce un’app che va sostanzialmente contro la regola base del distanziamento sociale? Nel momento in cui una persona risultasse positiva, verrebbero allertati solo quei contatti (che hanno l’app) e che sono stati entro una distanza minore e uguale al metro dal positivo. Ma se già si deve stare ad almeno un metro e mezzo di distanza (poi certa letteratura scientifica dice anche di più) quale percentuale di persone intercetterebbe l’app? La percentuale di quelli che hanno uno smartphone, che lo sanno usare, che hanno deciso di scaricare “Immuni”, che si portano il telefono sempre dietro e che non rispettano il distanziamento sociale. Non sappiamo fare il calcolo, ma sembra una percentuale che si riduce sempre di più.

4.Ma arriviamo al punto che ci sta più a cuore, ovvero il lasciare sempre i passaggi più importanti al buon senso e al buon cuore del singolo senza che lo Stato, e le sue varie diramazioni, si facciano carico del peso che si ricade a cascata sul personale sanitario da una parte (badate bene, non amministrativo!)  e sui pazienti dall’altra. Dopo aver ringraziato medici, infermieri, oss (ed qui aggiungo i tecnici di radiologia che sono un pezzo fondamentale in questa emergenza) dai balconi, dai terrazzi, con striscioni ed anche manifesti (parlo di Genova), veramente gli stiamo chiedendo un ulteriore atto amministrativo? Ma soprattutto, veramente vogliamo lasciare l’incombenza al paziente dell’ ulteriore passaggio tecnologico fondamentale (come se essere positivi al covid non fosse già abbastanza gravoso) di  dichiararsi positivo tramite l’app?

Questi un po’ di pensieri in ordine sparso che mi sembrano sufficienti per avere qualche dubbio che, ancor prima di parlare di privacy, ci faccia soffermare sull’efficacia dello strumento scelto.

Tralasciamo poi ogni considerazione su quello che succede una volta che una persone dovesse ricevere una notifica. Tampone? Test sierologico? Sono obbligatori? Vengono a farli a casa? Ma chi poi? (che è la nostra domanda del cuore).

Questi e molti a altri dubbi, un pezzo per volta, nelle prossime puntate.